Dopo il divieto di istallare i pannelli a terra, c’è spazio per i piccoli impianti: copertura dei fabbricati rurali, serre e autoconsumo le tre priorità del nuovo sistema di incentivazione.
Alla luce degli ultimi aggiornamenti pubblicati sul sito GSE (9 febbraio 2013), “il Contatore Fotovoltaico” registra un valore rivisto al ribasso di circa 3.6 milioni di Euro e 30 MW di potenza in meno. Tale ribasso è dovuto essenzialmente all’attività di controllo e verifica sugli impianti che il GSE ha posto in essere e che ha determinato l’esclusione o il declasso delle tariffe incentivanti di diversi impianti.
Il raggiungimento della soglia massima di spesa, 7.6 miliardi di euro è comunque prossimo, si parla di maggio/giungo, anche se un margine di incertezza lo lascia ancora l’apertura del 2 registro.
Al di la delle previsioni più o meno realistiche si dovrà attendere la chiusura del registro, più impianti entreranno a registro, minori saranno le risorse residue per completare il contingente massimo di spesa; dopodiché, il fotovoltaico dovrà fare a meno degli incentivi e il suo futuro dipenderà da eventuali nuovi interventi che il governo saprà o vorrà mettere in piedi.
In ogni caso è di estrema attualità la discussione sugli scenari post-incentivi, che coinvolge direttamente il mondo delle imprese, gli aspetti normativi ed il mercato. È quanto emerso dal meeting “Solarbrain” tenutosi il 12 febbraio u.s. a Milano. Non si può non considerare infatti che nell’ultimo decennio l’Italia ha prodotto un notevole patrimonio aziendale e di know how tecnico sul fotovoltaico e tale ricchezza non può essere dissipata per la mancanza di indirizzi precisi, ma anzi, è chiamata a fare blocco, per realizzare nuove idee e strategie comuni.
Non sono preclusi infatti ulteriori sviluppi normativi in materia, partendo da eventuali semplificazioni burocratiche, detrazioni fiscali su investimenti o altro, ma chiaramente, questo dipenderà strettamente dagli indirizzi del governo che verrà.
L’andamento del mercato europeo e internazionale
In tutto questo uno sguardo anche al contesto internazionale ed europeo in particolare può dare delle indicazioni importanti. L’EPIA (European Photovoltaics Industry Association) nel presentare gli scenari mondiali sul fotovoltaico ha stabilito che per il mercato fotovoltaico europeo il 2012, seppur segnato da una flessione del 27% , è stato il secondo miglior anno di sempre.
A livello mondiale invece il calo congiunturale si è fermato a un 4% .Un dato molto interessante è che in soli tre anni, dal 2010 al 2012, la quota europea sul mercato mondiale è scesa dall’80 al 55%. Questo dà conto di come da un lato il mercato europeo abbia già dato tanto, e dall’altro di quanti nuovi mercati si stiano affacciando alla ribalta. Questo calo del peso relativo dell’Europa è però da interpretare positivamente, perché riflette una forte diversificazione geografica degli sbocchi di mercato, e quindi una riduzione del rischio regolatorio, che è un po’ la ‘bestia nera’ del settore. In totale ad oggi risultano installati in Europa quasi 70 GW, di cui il 50% nelle sole Germania e Italia (EPIA 2013)
I mercati europei ed extraeuropei hanno ancora potenziali di sviluppo notevoli, per cui appare necessario intraprendere iniziative tali da favorirne la penetrazione da parte delle aziende italiane.
La situazione del fotovoltaico in Italia
A livello nazionale le aziende italiane sono in condizioni piuttosto complicate, la concorrenza tra i produttori italiani ed i cinesi appare impari, se non supportata da misure in qualche modo protezionistiche come il premio aggiuntivo per i prodotti UE previsto nel Conto energia, tuttavia il MiSE stima, secondo quanto indicato nella SEN (Strategia Energetica Nazionale) un potenziale per l’edilizia di quasi 2 GW/anno che potrebbe anche aumentare per le norme sui nuovi edifici che prevedono l’obbligo di impiego di energie rinnovabili per la climatizzazione estiva ed invernale (circa 200 MW).
Tuttavia i reali problemi del comparto italiano riguardano senza dubbio i costi degli investimenti, ancora troppo elevati da non compensare l’effetto grid-party che si comincia ad affermare e il calo del prezzo dei pannelli nell’ordine del 70% negli ultimi 2 anni (Zingale, su Innovation Cloud 2013).
Ancora la perdita di posti lavoro dovuta al brusco rallentamento nelle istallazioni fotovoltaiche è un dato su cui riflettere (il GIFI – Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane, stima già 6.000 posti persi), tuttavia, se si riuscirà ad aver la capacità di internazionalizzarsi, se si riusciranno a garantire qui 2 GW/anno fino al 2020 e se il mercato domestico indirizzato verso una quota sempre maggiore di autoconsumo continuerà a garantire gli attuali tassi di rendimento sull’investimento, il settore non è destinato a scomparire, alla luce anche delle recenti novità introdotte ad esempio per la climatizzazione a pompa di calore dal “Conto termico” (DM 28/12/2012).
In particolare quest’ultima iniziativa è stata accolta con favore dagli operatori del settore. Infatti rispetto alle detrazioni fiscali del 55%, rappresenta un meccanismo più vantaggioso, sono “soldi in tasca”, di ammontare certo e su un periodo breve di 2 anni (mentre le detrazioni fiscali, spalmate su periodo di 10 anni, di fatto rendevano l’incentivo poco attraente).
Tuttavia non è esente da critiche: c’è chi sostiene ad esempio che, definendo un corrispettivo al m2 , di fatto vada nella direzione opposta al premiare le tecnologie più efficienti e poi, le procedure burocratiche sono ancora troppo onerose, tanto da risultare in alcuni casi maggiori dell’incentivo corrisposto (come denuncia Assolterm). Non ultima, la non cumulabilità degli incentivi del conto termico con i certificati bianchi per i progetti di efficienza energetica rende il sistema ancora non pienamente conveniente.
In attesa dell’uscita delle linee guida tecniche per valutare meglio gli esiti del nuovo decreto, il Conto termico rappresenta comunque un importante iniziativa che se ben sfruttata, potrà contribuire a garantire la sopravvivenza del fotovoltaico anche dopo il V conto energia.
Le prospettive per le aziende agricole italiane
L’era dei grandi impianti fotovoltaici su terreni agricoli è definitivamente giunta al termine, ma le aziende agricole hanno ancora l’opportunità di beneficiare degli incentivi per il proprio fabbisogno energetico (il V CE impedisce infatti la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra su aree agricole, attività di fatto già notevolmente ridimensionata dal IV CE).
Di seguito si propone un confronto desunto dai dati del VI Censimento agricoltura ISTAT, con valori rilevati al 2010. Il dato che emerge è indicativo, anche se probabilmente sottostimato, visto il grande boom del fotovoltaico registratosi in particolare nel biennio 2011-2012. È evidente come anche in agricoltura, tra le diverse fonti rinnovabili, il fotovoltaico l’abbia fatta da padrone.
Su un totale di 21.573 impianti per la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile di proprietà di aziende agricole, (comprendendo tutte le tecnologie disponibili eolico, biomasse, biogas, idroelettrico, e altre,) gli impianti fotovoltaici sono 17.293, poco significativi gli impianti eolici, 428, idroelettrici, 483 ed il biogas, 332, mentre più presenti le biomasse con 2.025 impianti (vd. tab.)
- fonte: elab.Inea su dati censimento Istat
È inoltre da sottolineare come la maggior parte degli impianti sia stato realizzato dalle aziende, per lo più nel nord-est, con superficie compresa tra i 5 ed i 20 ettari. Il che testimonia come le rinnovabili, oltre a garantire ritorni importanti per i grandi investitori, rappresentano ad oggi un modo per integrare i redditi diversificando le attività aziendali.
Senza entrare ulteriormente nell’analisi dei dati, si vuole in questa sede ricostruire brevemente quanto accaduto fino a giungere alla situazione sopra descritta nelle tabelle.
Bisogna segnalare in questo scenario la grande corsa da parte dei colossi dell’energia, dapprima in generale contrari alle rinnovabili e poi attratti dai facili e cospicui guadagni che il fotovoltaico in particolare garantiva, ad accaparrarsi, a costi anche contenuti, grandi terreni agricoli, per la realizzazioni di vere e proprie “centrali fotovoltaiche”, anche nell’ordine di diversi MW di potenza.
Questo ha portato ad un primo effetto allarmante per il settore agricolo, la perdita di produzioni alimentari anche di qualità con conseguente alterazione delle aree rurali ad alto valore paesaggistico. Si è scatenata nel primo decennio del 2000 una vera e propria corsa al terreno agricolo, garantendo al proprietario rendite assai più elevate rispetto al terreno messo a produzione mediante o l’acquisto diretto del fondo o contratti bilaterali di concessione del diritto di superficie.
Il fenomeno ha assunto dimensioni tali da spingere negli anni le Istituzioni, in primis il MIPAAF, a porre in essere mediante tavoli di concertazione con associazioni agricole, imprese, enti territoriali, iniziative atte a ridimensionare decisamente il problema anche dal punto di vista normativo.
Come detto, già il IV CE prevedeva tra le altre cose il limite del 10% dalla SAU dell’azienda, per la realizzazione di impianti a terra; successivamente, con il V CE anche tale possibilità è stata vietata.
Il fotovoltaico in agricoltura tuttavia non è completamente fermo, resta in vigore la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici su fabbricati rurali, purchè appartenenti a determinate categorie catastali (D/10, A/6 C/6 prima dell’entrata in esercizio dell’impianto) e anzi, nel rispetto dei principi ispiratori di tutti i nuovi decreti a sostegno della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, per incoraggiare ulteriormente la realizzazione di impianti atti a soddisfare le reali necessità energetiche aziendali, sono previsti premi aggiuntivi per la smaltimento e la sostituzione di tetti in ethernit, assai diffusi in molti capannoni e edifici di aziende agricole. Agli impianti sui fabbricati rurali si applica la tariffa media tra quelle previste per le categorie di incentivazioni applicate a “impianti su edifici” e “altri impianti”.
Analogo discorso vale per le serre, dove i moduli fotovoltaici costituiscono gli elementi costruttivi della copertura e le stesse, a seguito dell’intervento, che presentino un rapporto tra la proiezione al suolo della superficie totale dei moduli fotovoltaici installati sulla serra e la proiezione al suolo della superficie totale della copertura della serra stessa non superiore al 30% (in alcuni casi al 50%).
Certo gli incentivi sono molto più bassi rispetto al passato, ma sempre maggiori se riferiti alla media europea. Registri, burocrazia e contingenti di spesa non facilitano gli investimenti, ma per le aziende agricole interessate soddisfare il proprio fabbisogno energetico mediante l’impegno di energie pulite, il fotovoltaico resta ancora un soluzione percorribile. Le nuove tariffe infatti, oltre a stabilire premi aggiuntivi per l’utilizzo di prodotti UE e le completa rimozione dell’ethernit o amianto, sono modulate prevedendo un premio fisso onnicomprensivo per l’energia prodotta più un premio per l’energia auto consumata.
(Fonte: Stefano Fabiani– Pianeta PSR numero 19 marzo 2013)